Word Of The Day

Prosopopea

Vocabolario on line

proṡopopèa (non com. proṡopopèia) s. f. [dal lat. prosopopoeia, gr. προσωποποιία, der. di προσωποποίεω «personificare», comp. di πρόσωπον «faccia, persona» e ποιέω «fare»]. – 1. Figura retorica per cui si introducono a parlare persone assenti o defunte, o anche cose inanimate, astratte, come se fossero presenti, vive, animate: è una figura questa, quando a le cose inanimate si parla, che si chiama da li rettorici prosopopeia (Dante); è, come dicono i retori, una prosopopea dell’Allighieri (Carducci, citando il sonetto «Dante Alighieri son, Minerva oscura ..

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Il giorno ad urlapicchio

 

 

 

Ci son dei giorni smègi e lombidiosi
col cielo dagro e un fònzero gongruto
ci son meriggi gnàlidi e budriosi
che plògidan sul mondo infrangelluto,

ma oggi è un giorno a zìmpagi e zirlecchi
un giorno tutto gnacchi e timparlini,
le nuvole buzzìllano, i bernecchi
ludèrchiano coi fèrnagi tra i pini;

è un giorno per le vànvere, un festicchio
un giorno carmidioso e prodigiero,
è il giorno a cantilegi, ad urlapicchio
in cui m’hai detto «t’amo per davvero».

Fosco Maraini

 

Mi sono innamorata della Gnosi delle Fanfole.  E’ un esperimento linguistico di Metasemantica di Fosco Maraini. E’ una tecnica linguistica che prevede l’utilizzo delle regole sintattiche e grammaticali della lingua italiana, ma il ricorso a parole prive di referente alle quali possiamo attribuire significati arbitrari. Mi piace proprio questa mancanza di riferimenti 🙂

Esiste una raccolta di Gnosi delle Fanfole con musica di Stefano Bollani.

 

Don’t worry if you don’t understand, you are right! It is a linguistic experiment, a literary tecnique theorized and used by Fosco Mairaini. 

 

 

Le parole

 

 

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Le parole sono fatte, prima che per essere dette, per essere capite:
proprio per questo, diceva un filosofo,
gli dei ci hanno dato una lingua e due orecchie.
Chi non si fa capire viola la libertà di parola dei suoi ascoltatori.
È un maleducato, se parla in privato e da privato.
È qualcosa di peggio se è un giornalista, un insegnante,
un dipendente pubblico, un eletto dal popolo.
Chi è al servizio di un pubblico
ha il dovere costituzionale di farsi capire.
Tullio De Mauro

Rome from my camera

 

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As you can easily understand I love my hometown and – in spite of everything – I am proud of my country. Sometimes I walk around my town with my camera and take some pictures from my personal point of view. Probably I am not a good photographer but hope all my emotions can reach you. Therefore all your critiques and suggestions are welcome.

Enjoy!

Da o dà?

 

 

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IL VERBO “DARE” NELLA TERZA PERSONA SINGOLARE SI PUÒ O SI DEVE SCRIVERE ACCENTATO: “DÀ”?

 

La terza persona singolare dell’indicativo presente del verbo dare è , con l’accento obbligatorio. Questa forma verbale fa parte di una doppia serie di monosillabi (parole formate da una sola sillaba) che si scriverebbero nello stesso modo (sarebbero cioè omografi), avendo però significati del tutto differenti. Proprio per evitare possibili confusioni, interviene l’accentazione su un membro della coppia:

che  (nei suoi molteplici usi: che vuoi?dico che è meglio cosìil libro che ho letto…) / ché ‘perché’; (congiunzione coordinativa) / è (verbo); la (articolo) / là (avverbio); ne (pronome, dammene due; avverbio, me ne vado) / (congiunzione); se (pronome atono, se ne pentiranno; congiunzione, se accetta, siamo a cavallo)/ sé (pronome tonico: di sé non parla mai); si (pronome: come si fa?) / sì (avverbio, dimmi di sì); te (pronome, parlo proprio con te) / tè (bevanda).
Infine, da (preposizione, un secondo e sono da te) / dà (voce del verbo dare).

Si può dire in italiano

 

Premessa necessaria: questa non è una crociata contro l’inglese. Parlare bene non solo l’italiano ma anche l’inglese (o qualsiasi altra lingua) è bellissimo e utilissimo. Ma non sempre è indispensabile introdurre una quantità di parole inglesi in un discorso o in un testo in italiano». (Annamaria Testa su NeU – Nuovo e Utile)

 

Annamaria Testa in questo articolo ha compilato una lista di termini inglesi di uso comune ormai, ma che possono essere facilmente sostituiti dall’equivalente termine italiano.

 

Eccola:

Voi parlate l’Itagliano?

La lingua amata

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Thomas Mann fa pronunciare al protagonista del romanzo Confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull una specie di dichiarazione d’amore per l’italiano: «Son veramente innamorato di questa bellissima lingua, la più bella del mondo. Ho soltanto bisogno d’aprire la mia bocca e involontariamente diventa il fonte di tutta l’armonia di quest’idioma celeste. Sì, caro signore, per me non c’è dubbio che gli angeli nel cielo parlano italiano. Impossibile d’immaginare che queste beate creature si servano d’una lingua meno musicale». Naturalmente la definizione dell’italiano come lingua degli angeli riflette un’idea tradizionale e stereotipata, che Mann ripropone con una buona dose di ironia; tuttavia vale la pena di interrogarsi sulle ragioni che hanno contribuito a radicare nell’immaginario collettivo della cultura occidentale un così lusinghiero luogo comune. Tanto più apprezzabile in tempi avari di altre gratificazioni

Scrivere in italiano